“L’integrazione”, una grande sfida per l’Europa

 

Nell’ultimo periodo si è parlato molto della ragazzina esclusa dalla cena di fine anno  scolastico perché disabile. Altrettanta attenzione si è rivolta all’immigrazione e all’arrivo in Europa di persone che fuggono dalla miseria e dal terrore.

Al fine di non fare del problema dell’integrazione una mera dissertazione retorica, bisogna necessariamente esplicare i termini attraverso i quali l’integrazione si attua.

 “Integrare” non vuol dire commiserare o ancora peggio accettare con rassegnazione i limiti altrui. “Integrare” vuol dire entrare in relazione con la molteplicità e con le diversità che ognuno di noi porta con sé, non solo i disabili. Capire la ricchezza che la diversità in generale può offrirci.

L’integrazione è un processo attraverso il quale è necessario istituire una rete di relazioni positive fra lo “Stato” e il “singolo individuo”.

Purtroppo l’opinione pubblica corre spesso il rischio di avere una visione distorta di questi fenomeni. A ciò contribuisce l’azione dei mass- media che si occupano soprattutto di gravi e continue emergenze le quali spesso portano a trascurare la corretta percezione dei fenomeni, in questo caso della diversità. Quando si parla di questo fenomeno- siano essi disabili, stranieri, omosessuali, si parla sempre in un’ottica di “problema”.

E se continuiamo in questa direzione, quando riusciremo a capire la ricchezza che la diversità può offrirci? Quando vedremo realmente realizzarsi l’integrazione?

Questo implica una dimensione psicologica ed emotiva che ci porta ad un’ampia apertura verso il mondo e ad un cambiamento culturale significativo che chiama in causa l’educazione e l’informazione in primis.

La “paura della diversità”, la sfiducia nelle sue capacità, quell’assurdo considerato diverso, solo perché appartenente a modelli etici e culturali differenti, oggi è un concetto del tutto fuori luogo in Europa, come altrove.

Non si cresce chiudendo le porte al mondo.

Franca Guerra, genitore

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