(di Marco Ancona, educatore)
Leggo l’articolo “La parola ‘integrazione’” del genitore Franca Guerra apparso su “Diversamente informati” del dicembre 2017: esso mi evoca ricordi di quando frequentavo la scuola e mi proietta anche nel futuro.
Quando ero alunno alle elementari e medie nonché studente alle scuole superiori faticavo ad affrontare e risolvere problemi di matematica: vi riuscivo con fatica e non tutti li risolvevo. Il “problema” faceva (e fa) paura. A tutt’oggi, che svolgo il ruolo di educatore nelle scuole del Comune di Parma, vedo alunni e studenti, perlomeno la maggior parte, in difficoltà di approccio al “problema”. L’unica maniera per affrontarlo consiste nel leggerlo, rileggerlo e leggerlo tante volte e conoscere le leggi che lo regolano. Allora, lo si riesce a risolvere. Lo dice un “non matematico” auto educatosi a entrare in relazione con la matematica. La matematica, ricordo, faceva paura e tutt’ora provoca paura nell’alunno e nello studente. Allo stesso modo come la “diversità”.
Ricordo che da ragazzino entrare a far parte di una nuova compagnia faceva paura. Paura di essere giudicato inadeguato e indegno di farne parte. Così mi sceglievo quei compagni che assomigliavano più a me, al mio modo d’essere. Restava il “limite” tra la compagnia necessariamente scelta e quella dove ambivo introdurmi, magari perché facevano dei bei festini con ragazzine carine. Una porta chiusa in faccia, un limite che non mi veniva permesso oltrepassare. Il “limite”…
Riflettendo sui termini come “problema”, “limiti”, “integrare”, “diversità” e anche “necessità”, termini che leggo nell’articolo del genitore Franca Guerra, trovo che hanno in comune di essere termini usati in matematica. Come la maggior parte di chi approcciava coi problemi aveva paura della matematica, allo stesso modo chi sente parlare di persone con disabilità ha paura della diversità. E’ una proporzione bella e buona!
Come ho detto all’inizio, l’articolo che leggo, oltre ai ricordi scolastici e di esclusione ai festini, mi proietta a vedere il futuro. Cosa vedo? Sisifo, l’eroe mitologico condannato dagli Dei a spingere un macigno su per un ripido clivo, dall’alto del quale una forza glielo faceva rotolare a valle non appena Sisifo raggiungeva la sommità, costringendolo a ritornare a valle e a risospingerlo.
Come Sisifo spinge, rispinge, sospinge il macigno, così noi, educatori e genitori, dobbiamo leggere, rileggere e leggere molteplici volte il “problema” del perché la diversità fa paura e costituisce un “problema”: conoscere le leggi che lo regolano. Queste leggi risiedono in noi. L’educazione ha in comune con l’evocazione la lettera <<e>> iniziale che sta per “cavare fuori”, “estrarre”, “far risalire” (dall’Ade di noi stessi) la vigorosa forza necessaria per porci dinnanzi al “problema” e provare a risolverlo. Ripeto: io ne risolvevo alcuni, non tutti.
Il futuro presenterà ancora tristi fatti come quello della ragazzina con disabilità esclusa dalla cena di fine anno? Fatico a leggere il futuro. Auspico il meno possibile. In tal fatto c’è tutta l’intensa forza che spinge a valle il masso come a Sisifo. Ma i nostri sforzi quotidiani sono pieni della consapevolezza che in questi anni, a Parma e in altre parti, risultati e traguardi importanti nel campo dell’“integrazione” e dell’accoglienza sono stati raggiunti e non fatico a leggere il futuro sul fatto che se ne raggiungeranno altri, è indiscutibile. La guardia dovrà restare alta; l’impegno massimo. Un attimo di riposo, una debolezza, un’incertezza nel sospingere il nostro macigno dell’integrazione consentirà alla forza di ributtarci a valle.
Leggo a pagina 6 di “Diversamente informati” dicembre 2017 della vittoria sulla ministra Fedeli, la quale ha tentato di respingere il macigno coraggiosamente sospinto dai genitori nel difendere il riconoscimento del diploma anche agli studenti con disabilità, invece di un semplice attestato o certificato di frequenza. Vittoria! Il macigno non è caduto a valle; ha raggiunto il piano. C’è ancora da salire…più di Sisifo.
“<<Quanto manca alla vetta?>> <<Taci, continua a salire.>>” (F. Nietzsche).