Le donne respirano forte quando l’ostetrica dice “non urli”. Vivono un tempo dilatato, fermo, se un imprevisto interrompe il corso naturale della vita, come la nascita di un figlio disabile. Portano i figli in braccio per giorni attraversando deserti, mari sui barconi, città a piedi, su e giù per gli autobus.
Hanno più confidenza con il dolore. Ci si vive, è normale. Urlare, piangere disperdere energie, lamentarsi non serve. Trasformare il dolore in forza, questo sì che serve. Ignorarlo, domarlo, metterlo da qualche posto segreto, lontano perché lasci fiorire qualcosa.
È una lezione antica che trova i suoi esempi nella storia e nelle leggende.
Maria Malibran, mezzosoprano, che impara a nascondere le lacrime durante le terribili lezioni di canto inflitte dal padre. Denise Karbon che scia ingessata. La prostituta bambina che chiude gli occhi e pensa al prato di casa sua. Le sorelle Mirabel picchiate e gettate in un burrone nella Repubblica Dominicana. La compagna straordinaria di Picasso, Dora Maar, che lei sola ne conosce la grandezza e le miserie perché è più grande di lui. Le grandi eroine della cultura classica: Lucrezia, moglie e madre ideale, che preferisce morire anziché opprimere l’oltraggio subìto, Medea, Arianna, Elena, eroine che hanno convertito la passione d’amore in gesti di ritrovata dignità. E molto più tragicamente, la giovane donna che si lascia picchiare ed insultare dal suo uomo perché pensa che questa violenza sia una debolezza, pensa di poterlo salvare. Prima o poi si placherà.
Donne che soccombono, altre che muoiono e moltissime che convivono quotidianamente con la violenza. Alcune però ce la fanno. E trasformano quel dolore in forza.
Per le migliaia di donne – ordinarie e straordinarie – che vivono sul filo dell’equilibrio, tra la quotidianità e gli esercizi di resistenza al dolore.
Franca Guerra
Queste riflessioni, queste parole, vanno ben oltre la Giornata contro la violenza sulle donne. Fanno bene al cuore per tutto l’anno e ho la presunzione di pensare che aiutino le persone a migliorare se stesse e quelle che stanno loro attorno. Dalla teoria alla pratica sappiamo che il salto non è sempre facile, ma questo articolo aiuta a gettare un ponte da una parte all’altra. E mi piacerebbe che questo ponte fosse tibetano, non in cemento, perché solo i più coraggiosi riescano a trascinare i più deboli. Grazie Franca.
Cesare
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